domenica 13 marzo 2016

Storia triste di un ritiro dalle scene

Questo post è arrabbiato. Bisbetico. Brontolante.
Se non siete in vena di leggere proteste, vi suggerisco di cercare qualcos'altro in archivio.

Conoscente 1: Figliolo Amato ha la ragazza che lo aiuta per la scuola. Viene tutti i pomeriggi per due ore.
Conoscente 2, cenno di apprezzamento: Davvero cara?
Conoscente 1: Eh sì, praticamente la campo questa. Le do quattrocento euro al mese. Eh, ma a Figliolo Amato gliel'ho detto. Dal prossimo anno, niente più aiuti. Mica posso stare a spendere dieci euro l'ora all'infinito.
Garagista, che emette vapore come una locomotiva del vecchio West: Quando insegnavo, io ne prendevo venticinque (25) di euro all'ora.

Conoscente 1 e Conoscente 2 si voltano a guardarmi stupite, esterrefatte, incredule.
Conoscente 2: Ma che stai a scherzà?
Io, Garagista Eretica: No. Neanche un po'.
Conoscente 1, alias Madre Premurosa: Vabbè, ma quella che viene a casa è 'na ragazza. Laureata in lingue...
Pronuncia strascicata sulle vocale i ed e della parola lingue, alla vista della mia faccia inespessiva, pietrificata.
Io: E allora?
Mugolii, giustificazioni e proteste quali non ti pare troppo 25?, io ne avrei chiesti di meno; sguardi da ladrona imbrogliona, sfiducia palpabile nell'aere.
Dopodiché, con una nonchalance che farebbe invidia all'esponente più corrotto della classe sociale detentrice di denaro e potere, Conoscente 2, sorriso a trentadue denti, mi chiede: Ti prego, mi insegni l'inglese? Però, sia chiaro, io non te li do venticinque euro l'ora. Nemmeno venti.
Reprimendo l'istinto di emettere sequela indicibile di insulti e cattiverie - ma senza uso di turpiloquio, né tantomeno di bestemmie, che ultimamente sono diventate la mia colonna sonora quotidiana, non immaginate il gaudio -, replico gentilmente ma altrettanto fermamente: Mi dispiace, non insegno più. Ho smesso.
Inutili le moine di Conoscente 2, che non mi smuoverebbero nemmeno dopo dieci grappini - e per sua sventura, ma mia fortuna, sono astemia -, per cui, vedendo vanificati i suoi sforzi di convincimento, conclude la forbita conversazione con: Quanto sei stronza.

Insegnavo.
Ho insegnato.
Solevo insegnare. Privatamente.
Ora: non più.
Per dodici lunghi anni mi sono presa cura di ragazzini i cui genitori erano troppo presi dal lavoro, dalle spese, dalle tasse, dal Rotary Club, dal divorzio, dalla rivendita di BMW, Mini e Porsche, per accorgersi che i figli avevano bisogno di loro. Pargoli sfornati per essere affidati ad amorevoli attenzioni altrui.
Ho lottato contro professori di scuola che tormentavano i miei studenti con espressioni razziste, denigratorie, con voti e note ingiustificati.
E vi prego, prestate attenzione: sono un'insegnante molto severa ed esigente. I voti che assegno io sono sempre bassi, per entrare nelle mie grazie dovete sudare sette camicie. Perciò, se dico che un docente di scuola è ingiusto, voglio dire proprio questo. Non ho mai regalato niente a nessuno. E i miei risultati parlano per me. Sia i successi, sia gli insuccessi, coronati da furiose litigate con genitori e figli che non rispettavano il mio lavoro, né la mia figura professionale.
Volete sapere cosa c'è?
C'è che non esiste un metodo per andare bene a scuola che non sia STUDIARE. Io non posso fare il lavoro al posto di nessun altro. Non ho il super potere di infondere la mia conoscenza per osmosi. E poi, scusate... per sapere tutto quello che so, ho speso infinite ore della mia vita. Ho rinunciato al cazzeggio fine a se stesso, mandando messaggini all'amica, guardando la televisione o navigando in internet - che ci crediate o no, esisteva già quando andavo a scuola -, invece di concentrarmi sullo studio. C'è un tempo per tutto: un tempo per lavorare e, evviva evviva!, un tempo per cazzeggiare. I due tempi non vanno confusi né mescolati, altrimenti viene tutto di merda: a scuola si prenderanno brutti voti, all'uscita cogli amici si arriverà stanchi, arrabbiati, frustrati, con la madre che vi insegue strillando causa la miserevole carriera accademica. O peggio, non si uscirà proprio, per via delle punizioni.
Se mi aveste assunto, avreste sentito questa regola in tutte le salse: quando si studia, si studia. Una volta chiusi i libri, possiamo diventare gli scatenati, più scatenati che ci siano. Come quando la vostra garagista, l'ultimo giorno del secondo liceo ebbe la brillante idea di andarsene in giro per i corridoi dell'istituto in sella alla propria bici da corsa. Tanto per dirne una.
Ma come si fa a mandare dal preside una che per nove mesi all'anno sforna un dieci dietro l'altro e non combina casini?
Ma pensate che io mi divertissi a stare sei ore al giorno su quel banco sporco, pieno di gomme da masticare mummificate attaccate sotto, a sentire blaterare gente che aveva potere sull'andamento delle mie giornate?!
Una volta chiarito questo punto, sono sempre stata una gran sostenitrice dell'affermazione Non esistono adolescenti svogliati.
Esistono bambini e adolescenti con problemi personali. Forse i signori adulti se lo sono dimenticato; ma non andare d'accordo con gente tua coetanea che condivide il tuo stesso spazio vitale per diverse ore al giorno, per cinque-sei giorni la settimana, può essere davvero massacrante. Se si sfocia nel bullismo, ad esempio, si può essere portati alla disperazione. E al suicidio.
Solo che  il piccolo grande mondo della scuola spesso è incomprensibile per chi non lo vive in prima persona. A meno che un adulto non abbia buona memoria, un fanciullino interiore molto vispo e arzillo, tanta fantasia e voglia di capire e interpretare cose sconosciute.
Ecco dove io trovavo posto. Nell'accompagnare letteralmente per mano ragazzi con i più svariati problemi, che un 4 in pagella non faceva altro che sottolineare. Il 4 non è mai la causa. Il 4 è un sintomo.
Oppure, occasione meno tesa e tragica, insegnavo una lingua straniera - in genere l'inglese, ma qualche volta il francese - al manager di turno. All'aspirante libero professionista, che aveva appena avviato una startup con un brand personalizzato, un'App per smartphone e tablet dedicata, da downloadare gratuitamente su AppStore o Google Play, seguendo il trend del momento e sperando che lo spread non fosse troppo alto da fargli chiudere bottega. Tutto chiaro?
Un lavoro difficile, il mio, ma colmo di emozioni, stimoli, soddisfazioni. Le mie migliori amicizie, negli ultimi dieci anni, sono nate con quelle madri single che tanto hanno temuto per il futuro dei propri pargoli e ad ogni folata di vento si ripetevano "Meno male che c'è Ludovica". Con tutti i miei adorati americani, che venivano a vivere a Roma per qualche anno, per cercare di capire che roba è essere italiani; a godere delle bellezze artistiche ed intellettuali del Belpaese e del resto d'Europa, a portata di un biglietto della Ryanair. Americani grandi, a cui insegnare che non ci si deve vergognare se al barista si chiede per piàcere, con l'accento sulla a, o se al vicino di casa si racconta che io ho andato. Americani piccoli, che vogliono un amico adulto che conosca bene il mondo strano e a volte un po' spaventoso, in cui i genitori li hanno catapultati.
Ma perché ho smesso?
Perché...
Perché di americani non ce ne sono poi molti, di mamme preoccupate e attente anche. E senza di loro, senza persone da aiutare, da capire, a cui insegnare lingue, italiano, musica e matematica, io non ho nessun lavoro.
Tutti gli altri mi guardano come se fossi una ladra. Un'imbrogliona. Una persona che vuole i loro soldi senza fare niente di particolare.
Perché la cultura non importa a nessuno. La cultura non ha prezzo poiché nel mondo dei più non ha nessun valore. Perché pagare per qualcosa che posso fare da solo? Ma se davvero puoi studiare da solo, allora perché continui a prendere 4? Perché quella frase in inglese continua a non entrarti in testa, nonostante i soldi profusi in svariati British, Irish, Scottish institute?
Piuttosto vado a fare un viaggio studio all'estero! Certo. Tanti auguri. Quando torni, facciamo un po' di conversazione in lingua.
In questo mondo, spazio per una come me non c'è: è già occupato da corsi di fitness, personal trainer che chiedono 20 euro l'ora, insegnanti di pilates e yoga che vengono a casa per 30 euro l'ora, istruttori che ti fanno fare la passeggiata in campagna per bruciare gli strati di lardo. Ma come... a che mi serve pagare uno che mi faccia alzare il culo dal divano? Non posso farlo in autonomia?
Eh no. Questo no.
Non mi fraintendete. Ho massimo rispetto per gli istruttori di fitness. Ne annovero alcuni fra le mie amicizie più care e intime. Io stessa sono sempre lì lì per decidermi a prendere qualche brevetto, magari di striding oppure di yoga, tanto è il mio amore per lo sport. E credo che anche loro siano seri professionisti e meritino fino all'ultimo centesimo del denaro che chiedono.
Ma allora... perché io no? Perché io vengo dopo il fitness e perfino gli insegnanti di musica, che dovrebbero essere miei più stretti colleghi? Solo perché la musica dà prestigio e allora ci ritroviamo zeppi di bambini stressati e annoiati, costretti a solfeggiare pagine e pagine di astrusi pallini neri e bianchi, privi di qualsiasi talento musicale, che tortureranno le nostre orecchie con esecuzioni a dir poco piatte e impersonali... solo perché la musica dà prestigio? Che prestigio c'è nel rendersi ridicoli? Che prestigio c'è nel non ascoltare mai i propri figli, privandoli del piacere di seguire le proprie inclinazioni, i talenti naturali e i propri desideri?
Ma va bene così.
Ormai ho deciso.
Non insegno più.
Con la cultura non ci mangio. E prima di acculturarsi, uno deve sopravvivere.
Nell'ultimo trasloco verso il mio amato garage, ho buttato tutti i libri di didattica che avevo accumulato negli anni. Tutti.
Non li ho venduti. Non li ho neanche regalati, perché non conoscevo nessuno che meritasse tanto. Li ho buttati in uno degli ultimi secchioni verdi indifferenziati che allora popolavano ancora le strade della città.
Non una parola uscirà mai più dalla mia bocca, che non sia per dire qualcosa di personale. Io non insegno più.
E voi; voi potete fare quello che vi pare.
Se siete insegnanti che si fanno pagare dieci euro l'ora, sappiatelo: siete degli imbecilli e dei poveri disperati. Andate a fare i cassieri, che guadagnate di più.
Tutti gli altri: imparate, inglese, francese, spagnolo, tedesco, italiano, matematica, archeologia come più vi piace. Altrimenti fatevi una bella passeggiata in campagna. O anche all'inferno se ci riuscite. A me, non cambia assolutamente niente.




6 commenti:

  1. Cappero se ti sei arrabbiata!Purtroppo l'interesse per la cultura è sempre più in calo unitamente al mettere al mondo con lo scopo di renderli persone oneste e giuste....

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    1. Ciao Micol, grazie per aver avuto la pazienza di leggere il mio soliloquio di insegnate delusa e arresa.
      Sì, sono arrabbiata perché è alla radice che c'è proprio qualcosa che non va. Le cose vanno indietro, invece di andare avanti. E alle volte mi sento veramente impotente di fronte al "trend" della massa.
      Cara, grazie per il commento e la solidarietà. :) :*

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    2. Ciao Micol, grazie per aver avuto la pazienza di leggere il mio soliloquio di insegnate delusa e arresa.
      Sì, sono arrabbiata perché è alla radice che c'è proprio qualcosa che non va. Le cose vanno indietro, invece di andare avanti. E alle volte mi sento veramente impotente di fronte al "trend" della massa.
      Cara, grazie per il commento e la solidarietà. :) :*

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  2. Cappero se ti sei arrabbiata!Purtroppo l'interesse per la cultura è sempre più in calo unitamente al mettere al mondo con lo scopo di renderli persone oneste e giuste....

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  3. Tapini quelli che non hanno avuto il privilegio di averti come insegnante... il mondo è un posto più povero da quando hai deciso di non insegnare più.

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  4. Condivido le tue analisi e il tuo pensiero, ma se in futuro ti si dovesse aprire un'altra porta nella scuola io ti consiglierei di varcarla... sarebbe una soddisfazione per te e un privilegio per i tuoi alunni.

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