mercoledì 25 novembre 2015

Laureata precaria. Ovvero: quando si è troppo fortunati per essere sfortunati

Si lavora per vivere, non si vive per lavorare.
In vita mia l'ho sentito ripetere spesso, da molti interlocutori. Alcuni seguivano la massima citata, altri meno.
Nel frattempo, però, qualcosa deve essere andato storto.
Veramente storto.
Il padre di mia madre, era un postino. Dopo diversi anni in sella alla sua bici, in un tempo in cui i portalettere conoscevano personalmente la maggior parte degli abitanti del paese e si fermavano a scambiare due chiacchiere con le signore casalinghe, vestite con l'immancabile vestaglietta smanicata multicolore, il cucchiaio di legno in una mano e i bigodini in testa, mio nonno fu promosso e spostato agli uffici. Non allo sportello, bensì alla mansione che oggi chiamiamo back-office. Insieme a lui, lavoravano due architetti e un ingegnere.
Quando mi raccontavano questa storia, io adolescente che sognavo di diventare una Indiana Jones in gonnella, arricciavo il naso inorridita. Pensavo a quei tre poveri uomini, che avevano studiato tanto, che avevano fatto chissà quali sacrifici, per poi vedere i propri sogni e progetti affogare sotto un'immane pila di lettere affrancate. Questo accadeva perché, come ogni giovane intellettuale che si rispetti (anche se ora probabilmente verrei definita poco carinamente nerd) immaginavo più che altro di vivere per lavorare: volevo essere una ricercatrice, punto e basta. Le altre opzioni erano da scartare.
Mi piacerebbe molto raccontarvi i perché e i percome di una scelta professionale così radicale in tenera età. E lo farò. Un'altra volta.
La realtà lavorativa dei trent'anni dopo la Seconda Guerra Mondiale era questa: se eri fortunato lavoravi e mangiavi. Se eri molto fortunato, studiavi, trovavi un lavoro qualsiasi e mangiavi. Se eri la fortuna personificata, trovavi il lavoro per cui avevi sgobbato anni e anni, sulle sudate carte di leopardiana memoria.
Dopodiché, c'è stato un bel ventennio d'oro, in cui tutti o quasi avevano la concreta chance di realizzare i propri sogni che, come ci insegna la Cenerentola di Walt Disney (la quale deve soffrire di qualche piccolo disturbo psicologico, perché non ho mai visto una sedicenne che subisce abusi familiari alzarsi la mattina canticchiando e col sorriso), i sogni son desideri di felicità. Fino alla recessione economica del nuovo millennio.
Realtà attuale? La sappiamo tutti. Disoccupazione a livelli vertiginosi, disponibilità di lavori più o meno specializzati ai minimi storici.
MA!
Un altro dei miei MA. La Signora Fornero (e ringrazi che Le ho accordato l'elegante appellativo "Signora"), qualche tempo fa ha detto che noi giovani italiani, in merito al lavoro, siamo choosy. A grandi linee, ci ha detto che siamo schizzinosi. Benissimo. Magari per qualcuno è vero. Ma magari per qualcun altro no.
Lasciate che vi racconti le mie ultime esperienze, così ci facciamo insieme un'idea della situazione.
Personalmente, come ogni essere umano, ho delle competenze, delle capacità innate, ma ho anche dei limiti che devo rispettare. Perciò è un po' improbabile che mi troviate a fare la cubista in discoteca o la cameriera in un pub, perché la confusione mi mette a disagio: tempo una settimana e mi ricoverano in neuro. Ciò non toglie che io sia dotata di buona manualità e forza fisica, per cui a lavorare in posti come Ikea o un Brico "X" mi sentirei come un porcello nel fango.
Poche settimane orsono, vado all'ennesimo colloquio, nella speranza di ottenere un posto come segretaria d'azienda. Il giovane che mi intervista rimane abbastanza entusiasta della mia persona, sono quello che cerca: ottimo inglese, ottimo computer, brava col bricolage, dinamica, precisa.
Anch'io lì per lì sono ottimista: mi hanno convinto soprattutto le reali 40 ore pagate una per una, con tanto di tredicesima e quattordicesima, ferie e malattia incluse.
Non mi piace molto la sua domanda: ma tu, con tutto questo curriculum, vieni a fare la segretaria per ripiego?
Gli rispondo francamente: certo, perché voler impiegare venti minuti per arrivare al lavoro, invece di due ore e mezzo, ed essere in grado di mangiare tutti i giorni che compongono un mese è un ripiego.
Il tutto finisce in maniera positiva, con la bozza di contratto promessa per la settimana successiva.
Purtroppo, dopo tre giorni: tragedia! Il papabile datore di segretariato, mi telefona dicendo che il suo socio ha dei timori sulle mie troppe competenze. Delusa e notevolmente incazzata, chiedo delucidazioni: eh niente, tu sai fare troppe cose, magari vorresti trovare un lavoro più qualificante, in cui puoi crescere professionalmente, a fare la segretaria poi ti annoi e vedrai che te ne vai.
Inutili le mie spiegazioni sul fatto che semplicemente VOGLIO MANGIARE!!!! Che non ne posso più, a trentun anni suonati, di telefonare a casa da mamma e chiedere se mi manda dei soldi, nemmeno fossi una matricola universitaria fuori sede.
Ingenua me, che speravo di poter finire come i colleghi di mio nonno, con la laurea appesa in casa, ricordo prezioso di un bel periodo della mia gioventù, e le tasche dignitosamente nutrite di un onesto lavoro dipendente.
Sciocca me, che ho un'amica che lavora in una catena di alimentari e ho pensato che, hai visto mai, poteva presentarmi il direttore, una stretta di mano e un curriculum e poi chissà. Giusto l'altra sera, colei mi raccontava di un'altra sua conoscenza che le aveva chiesto aiuto: stessa mia situazione, laureata in giurisprudenza, in mezzo a una strada, senza mangiare. Indovinate? Il direttore megagalattico del supermercato non l'ha presa. Perché? Ovvio: ma lei è laureata, lavorava alle risorse umane, io mi vergogno a offrirle un posto da cassiera.
Adesso mi rivolgo a voi, cari imprenditori italiani: finiamola con questo ragionamento del piffero, per cui noi laureati siamo degli animali pericolosi che cercano la carriera a tutti i costi. Le carriere straordinarie (come canta Cristicchi nella sua profetica "laureata precaria") sono sogni per ventenni o per maledetti sociopatici, che fanno del lavoro la propria ragione di vita. Noi non siamo un pezzo di carta qualunque, emesso dalle università e firmato dai rettori. Non siamo il nostro linguaggio forbito o la capacità di risolvere equazioni di grado n a più variabili. Noi siamo persone, esattamente come voi. Vogliamo una famiglia, vogliamo una dignitosa indipendenza, vogliamo avere un posto dove tornare la sera che sia nostro, non il comodato d'uso gratuito di ciò che i nostri genitori hanno creato per loro stessi.
E a voi imprenditori senza scrupoli, che pensate di poterci sfruttare, che ci trattate come merce a consumo: ma davvero credete che possiamo campare lavorando 60-70 ore alla settimana percependo uno stipendio di 800 o 900 euro? Ma io, che vivo sola perché con quell'orario di lavoro non ce l'ho il tempo di avere una vita sociale, figuriamoci di farmi una famiglia, come posso fare la spesa, lavarmi i costosissimi tailleur che tu pretendi che io indossi, stirarmi le camicie e pulire una casa in cui vado solo a dormire? Facile? Mangio fuori e prendo la donna delle pulizie? Allora devi pagarmi di più, per essere la tua schiava, perché 900 euro non bastano per mangiare tutti i giorni in rosticceria, purtroppo ho anche tasse e bollette che mi aspettano nella buca delle lettere.
Ora basta. Non diteci che siamo fortunati. Perché a vivere un presente sulle spalle delle nostre famiglie, senza alcuna possibilità di costruirci un futuro, non è fortuna.
E ricordatevi che voi state pagando l'INPS per pagare la pensione delle vecchie generazioni. Se non ci mandate a lavorare, a fare le cassiere, le commesse, le segretarie, le operaie, la vostra pensione non ve la pagherà nessuno.



6 commenti:

  1. Sai quante volte penso e dico queste frasi? E io sono tra i fortunati, perchè un lavoro l'ho, almeno per ora (visti i continui tagli ovunque), ma so già che sarà dura quando arriverà l'età della pensione, sempre se mai arriverà...

    RispondiElimina
  2. La cosa più triste è che invece di tornare indietro (già di per sé fenomeno negativo) abbiamo creato ulteriori problemi, come la figura del "troppo qualificato".
    Per la pensione... quale pensione? Quale stipendio? :(
    Un bacio sorellina, grazie per essere passata.

    RispondiElimina
  3. Adoro leggerti! Potrei aggiungere che avere delle competenze "diverse" è spesso un valore aggiunto e che l'acume può dare i suoi frutti anche in posti di livello "inferiore". Ci sono passata anch'io e non sai quanto ti capisco!
    Un abbraccio
    Micol

    RispondiElimina
  4. Adoro leggerti! Potrei aggiungere che avere delle competenze "diverse" è spesso un valore aggiunto e che l'acume può dare i suoi frutti anche in posti di livello "inferiore". Ci sono passata anch'io e non sai quanto ti capisco!
    Un abbraccio
    Micol

    RispondiElimina
  5. Grazie, mi lusinghi!
    Grazie anche dell'incoraggiamento, mi piace il modo sintetico e diretto con cui hai espresso un pensiero che condivido in pieno: lo "quoterò" al mio prossimo business meeting :D ;) ;*

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ora sei tu a lusingare me...spero proprio ti porti fortuna...;) :*
      P.S. perdona ma non ho ancora capito perché mi duplica i commenti...
      Felice di averti conosciuta attraverso il blog
      Micol

      Elimina